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Calipso la ninfa immortale che riesce a tenersi come amante Ulisse per sette anni

Alla fine solo gli dei riescono a liberare Ulisse dalla sua prigionia che il mare nonché Poseidone gli metteva da ostacolo per raggiungere il suo regno dove lo aspettavano sua moglie e suo figlio. Ma lui voleva veramente ritornare?

by Susanna Basile
Maggio 7, 2025
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Calipso (in greco antico: Καλυψώ?, Kalypsṓ) è un personaggio della mitologia greca e il suo nome deriva dal verbo greco kalýpto (καλύπτω), «nascondere» o «coprire».

 

La divinità marina di Calipso è presente in svariate leggende dove viene indicata come una ninfa, una nereide o anche un’oceanina.

 

Genealogia

Figlia di Atlante e di Pleione, oppure di Oceano e della titanide Teti. Da Ulisse partorì i figli Nausitoo e Nausinoo Nausitoo e Nausinoo della teogonia di Esiodo, sono chiamati Feacio e Ausonio nell’Odissea di Omero. Nausitoo è chiamato Feacio padre di Alcinoo, Locrio e Crotone, e Nausinoo è chiamato Ausonio padre di Liparo.

 

Il nome di Calipso appare anche tra i nomi delle Nereidi, ma nulla conferma che sia lo stesso personaggio.

 

Mitologia

Secondo il racconto dell’Odissea di Omero, Calipso era figlia di Atlante e viveva sull’isola di Ogigia: donna bellissima e immortale.

 

Un giorno Ulisse, scampato al vortice di Cariddi, approdò sull’isola, e Calipso se ne innamorò. L’Odissea racconta come ella lo amò e lo tenne con sé, secondo Omero, per sette anni (secondo lo Pseudo-Apollodoro cinque e secondo Igino solo uno) offrendogli invano l’immortalità, che l’eroe insistentemente rifiutava. Ulisse conservava in fondo al cuore il desiderio di tornare a Itaca, e non si lasciò sedurre.

 

Calipso abitava in una grotta profonda, con molte sale, che si apriva su giardini naturali, un bosco sacro con grandi alberi e sorgenti che scorrevano attraverso l’erba. Ella passava il tempo a filare, tessere, con le schiave, anch’esse ninfe, che cantavano mentre lavoravano.

 

Le lacrime di Ulisse vennero accolte da Atena, la quale, dispiaciuta per il suo protetto, chiese a Zeus di intervenire. Il dio allora mandò Ermes per convincere Calipso a lasciarlo partire e lei a malincuore acconsentì. Gli diede legname per costruirsi una zattera, e provviste per il viaggio. Gli indicò anche su quali astri regolare la navigazione.

 

Le leggende posteriori all’Odissea attribuiscono a Ulisse e Calipso un figlio, chiamato Latino, più spesso considerato come figlio di Circe; talvolta, si racconta che essi avessero avuto due figli, Nausitoo e Nausinoo, i cui nomi ricordano la nave. Infine si attribuisce loro come figlio anche Ausone, l’eponimo dell’Ausonia.

 

Nella letteratura moderna

A Calipso è dedicato il testo conclusivo della raccolta L’ultimo viaggio di Ulisse di Giovanni Pascoli ed è anche presente nel quarto volume della saga Eroi dell’Olimpo. Il testo si apre con un Ulisse naufrago, spinto fino all’isola di Ogigia dal mare dopo aver perduto la nave e i compagni contro lo scoglio delle Sirene. L’isola della dea è selvaggia e carica di profumi, il canto di Calipso che siede intenta alla sua tela si mescola con quello insistente del gufo e della cornacchia, presagi di sventura. La dea, una volta uscita dalla sua caverna, trova il corpo dell’amato eroe ormai esanime e non può far altro che abbracciarlo e sciogliersi in lacrime di dolore:

 

«Non esser mai! non esser mai! più nulla,

ma meno morte, che non esser più!»

Ogigia (in greco antico: Ὠγυγίη? Ōgyghìē), nel libro V dell’Odissea di Omero, è l’isola dove Ulisse si trovò a sostare per sette anni dopo lunghe avventure e pericoli corsi durante il suo ritorno dalla guerra di Troia. Quest’isola viene descritta da Omero come un posto paradisiaco della felicità e dell’immortalità, benché Ulisse trascorra la maggior parte della sua prigionia piangendo per la distanza dalla sua patria, per l’impossibilità della sua partenza e per la mancanza dei suoi cari – Penelope e Telemaco -; spesso si rifugiava sul promontorio dell’isola dal quale osservava i flutti in attesa di partire. Altri luoghi dell’isola sono la grande spelonca, ove risiedeva la ninfa, che vi dormiva con Ulisse, benché nolente[1]; attorno alla grotta vi erano un lussureggiante bosco, pieno di uccelli e svariati prati di sedano e viole, e dei rigogliosi tralci di vite domestica con quattro sorgenti d’acqua nei pressi.

 

 

Ulisse e Calipso nell’isola di Ogigia

Ulisse vi giunse a causa di un naufragio che lo fece andare alla deriva fin sulle coste dell’isola, ove Calipso lo salvò e lo accolse. Essa s’invaghì dell’eroe itacese a tal punto da trattenerlo quasi come prigioniero, fin quando giunse un ordine esplicito di Ermes, in qualità di messo di Zeus a lasciarlo tornare in patria. La ninfa malvolentieri ne informò Ulisse, ma questi diffidava di lei, paventando infatti un attentato alla propria vita come vendetta; dopo il solenne giuramento di Calipso, Ulisse, rinfrancato, si preparò a partire. Costruitosi una zattera (e qui reperiamo preziose informazioni sulle tecnologie dell’epoca), partì, ma avendolo visto il suo acerrimo nemico Poseidone, gli scatenò una tempesta contro; ciononostante, grazie all’intervento salvifico di Atena e della ninfa Leucotea, giunse alle coste di Scheria, l’isola dei Feaci, ove otterrà di essere finalmente accompagnato e sbarcato alla natia Itaca.

 

Sono diverse le collocazioni attribuite a Ogigia nella geografia reale: appena fuori dallo stretto di Gibilterra oppure, secondo tradizioni locali della Dalmazia, l’isola di Mljet; secondo altri autori invece è l’isola di Gozo nell’arcipelago maltese, dove è possibile visitare la grotta “di Calipso” che sovrasta la spiaggia rossa della Baia di Ramla; ancora, l’isola di Gavdos a sud della Grecia. Secondo alcuni recenti studi, Ogigia si troverebbe di fronte ai monumenti alla costa calabra del Mar Ionio, in corrispondenza della Secca di Amendolara o nei pressi di Punta Alice a Cirò Marina. Per altri ancora si tratterebbe dell’isola di Pantelleria. Ciò che deduciamo da Omero, vero o no che sia, è che era un’isola assai remota, distante da centri abitati: così Ermes diceva a Calipso presentandosi: “Zeus m’ha costretto a venire quaggiù, contro voglia; e chi volentieri traverserebbe tant’acqua marina,/ infinita? Non è neppure vicina qualche citta di mortali,/ che fanno offerte ai numi, elette ecatombi.”

L’Odissea è uno dei grandi poemi della letteratura occidentale in stile epico, attribuito a Omero, come l’Iliade. I 24 libri in esametri narrano il lungo e travagliato viaggio di ritorno in patria, a Itaca, di Odisseo (Ulisse), eroe della guerra di Troia, colui che aveva ideato l’inganno del cavallo di legno con il quale i Greci erano riusciti a distruggere la città.

 

Intorno al poema, filologi e storici hanno sviluppato diverse teorie circa la composizione da parte di Omero, l’esistenza dello stesso e riguardo la corrispondenza nella cartina dei luoghi narrati all’interno dell’opera.

 

Una in particolare, forse poco nota ma incredibilmente affascinante, coinvolge interamente la Sicilia. E’ Samuel Butler, critico razionalista, nato a Langar nel Nottinghamshire nel 1835, il fondatore di questa teoria, raccolta in un saggio dal titolo: L’autrice dell’Odissea.

Dopo aver tradotto l’Odissea, si convinse di voler dimostrare che gli avvenimenti legati al viaggio di Ulisse non si svolsero nell’Egeo, ma nel Mediterraneo occidentale, in Sicilia in particolare. Addirittura affermò che il poema fu scritto non da Omero, ma da una donna siciliana, di Trapani, che si autonarra nell’opera nelle vesti di Nausicaa, figlia del re Alcinoo di Scheria.

 

«Mai prima mi era capitato che gli uomini scrivano libri smaglianti nei quali le femmine appaiono più assennate dei maschi» – scrive Butler – «Quando nell’Iliade […] gli uomini dominano e proteggono le donne, nell’Odissea sono le donne a dirigere, consigliare e proteggere: Minerva donna e non guerriera; Penelope dominante; Euriclea, la vecchia serva, in tutto pari a Telemaco; Elena, la vera padrona della casa di Menelao; Calipso è la mente direttiva». È una donna, dunque, a scrivere. E una donna se tenta un poema epico, è quasi obbligata a scegliere un uomo come personaggio principale, ma cercherà di ridurlo al minimo e ne esalterà al massimo grado la moglie e le figlie.

 

I viaggi d’Ulisse nella mente della scrittrice siciliana coincidono con la circumnavigazione della Sicilia che, iniziando da Trapani, segue la costa settentrionale, attraversa lo stretto di Messina, passa per l’isola di Pantelleria e finisce a Trapani.

Il risultato degli studi portò Samuel Butler alla conclusione che Scheria, sede dei Feaci, e Itaca, patria di Odisseo, coincidano entrambe con la città di Trapani per il fatto che l’autrice, essendole familiare, l’aveva usata per descriverle entrambe.

In particolare, fu proprio l’episodio della trasformazione in scoglio della nave dei Feaci al ritorno da Itaca che lo convinse che quello fosse stato un posto descritto dal vero. Ciò viene avvalorato dal mito cristianizzato per il quale la Madonna di Trapani, per salvare la città dall’attacco dei turchi pietrifica la nave dei pirati.

 

Quando l’autrice considera Itaca un’isola e nient’altro, se la immagina come l’alta e imponente Marettimo, lontana circa ventidue miglia da Trapani. Quando invece ha bisogno di altri particolari, li prende dai suoi immediati dintorni sulla terraferma.

 

Tutto il percorso seguito da Ulisse, dallo sbarco di Forco alla grotta dove nascose i regali, su per il monte Nerito, dalla cresta alla sorgente e alla “roccia del corvo” e, infine, lungo il sentiero che scende a Itaca, corrisponde perfettamente al percorso attuale dalle saline di San Cusumano alla “grotta del toro”, su per il monte Erice, dalla fontana alla “roccia del corvo” e, infine, alla strada per Trapani.

 

Butler continuò a lavorarci per anni, compiendo lunghe soste a Trapani e nei dintorni. Individuò Trapani con Scheria e poi le quattro isole a ovest come si legge nell’Odissea: Itaca con Marettimo; Aegusa, l’Isola delle capre, con Favignana; Boukinna, l’Isola del bestiame, con Levanzo; e Dulichium con Isola Longa. L’isola di Eolo sarebbe Ustica che con l’atmosfera chiara si può vedere debolmente dal monte Erice, e naturalmente avrebbe impressionato una scrittrice per la quale Erice e i suoi dintorni erano tutto il mondo.

 

L’ipotesi è molto suggestiva e affascinante, ma tuttavia non era del tutto nuova. Prima Strabone e poi anche Polibio e Tolomeo avevano collocato geograficamente l’Odissea in Sicilia.

 

Non vi è alcuna prova inconfutabile che queste ipotesi siano vere. Ma ci piace immaginare che il viaggio di Ulisse sia il riflesso della Sicilia negli occhi di una donna. In effetti di ispirazioni poetiche l’Isola ne offre parecchie. Così tante da poter dare adito a simili teorie.

Tags: calipsoogigiaulisse
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© 2024 Susanna Basile psicologa e sessuologa clinica

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