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Il vero nome di Ulisse era Odisseo ovvero dal greco “Colui che è odiato”

Il vero nome di Ulisse era Odisseo, nome dal significato formidabile che gli fu assegnato dal nonno materno Autolico motivandolo come "odiato dai nemici", quei nemici che lui farà per il primato della sua mente, "futura cagione di molte invidie". Ὀδυσσεύς Odysséus deriverebbe dal verbo greco ὀδύσσομαι odýssomai, "odiare", "essere odiato", quindi significherebbe "Colui che è odiato", ma fra i possibili significati dobbiamo citare "collerico" o addirittura "il piccolo", quest'ultima definizione si adatterebbe alla sua statura, non altissima.

by Susanna Basile
Luglio 25, 2025
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Il vero nome di Ulisse era Odisseo ovvero dal greco  “Colui che è odiato”

Il vero nome di Ulisse era Odisseo, nome dal significato formidabile che gli fu assegnato dal nonno materno Autolico motivandolo come “odiato dai nemici”, quei nemici che lui farà per il primato della sua mente, “futura cagione di molte invidie”. Ὀδυσσεύς Odysséus deriverebbe dal verbo greco ὀδύσσομαι odýssomai, “odiare”, “essere odiato”, quindi significherebbe “Colui che è odiato”, ma fra i possibili significati dobbiamo citare “collerico” o addirittura “il piccolo”, quest’ultima definizione si adatterebbe alla sua statura, non altissima.

Ulisse, epiteto datogli dai Romani e reso celebre da Livio Andronico (che significa “Ferito a un’anca”), epiteto formato da due parole in riferimento a una ferita riportata alla coscia in una battuta di caccia al cinghiale (nelle foreste di Castalia), è la “personificazione” dell’ingegno, del coraggio, della curiosità e dell’abilità manuale.

 

Secondo il mito, Ulisse è figlio di Anticlea e di Laerte, dal quale ha ereditato il regno di Itaca. Da parte materna è quindi pronipote di Ermes. Sposo di Penelope, è il padre di Telemaco e, secondo molte tradizioni, di Telegono, avuto con la maga Circe.

 

Secondo un’altra tradizione il vero padre di Ulisse era Sisifo, grande ingannatore degli dèi, che lo generò con la madre Anticlea in qualità di amante prima che si unisse col re di Itaca Laerte.[3]

 

Ulisse si vanta di discendere per via paterna direttamente da Giove, in quanto il padre di Laerte, cioè suo nonno paterno Arcesio, sarebbe stato figlio di Giove (Ovidio, Metamorfosi, XIII, 144-145).

 

Famoso per i suoi viaggi e le sue avventure, Ulisse è un uomo dotato di grande astuzia, in grado di escogitare piani ed espedienti per fronteggiare i più diversi pericoli ed avversari. Celebre è la sua grande curiosità verso ciò che è ignoto e sconosciuto, che frequentemente lo spinge ad avventurarsi volontariamente nel pericolo. Non è esente tuttavia da accorta prudenza.

 

La follia simulata

Odisseo aveva consultato un oracolo dal quale era stato ammonito che, se fosse partito per la città di Troia, sarebbe tornato in patria solo dopo vent’anni e in condizioni di miseria. In seguito, quando Agamennone, accompagnato da Menelao e Palamede, fece visita all’eroe per convocarlo in onore del solenne giuramento che aveva pronunciato sulle carni di cavallo, Odisseo architettò di giustificare la sua riluttanza alla guerra fingendosi pazzo. Fu sorpreso, infatti, con un cappello da contadino a forma di mezzo uovo mentre arava un campo, pungolando un asino e un bue aggiogati insieme e lanciandosi alle spalle manciate di sale. Palamede, per verificare la sanità dell’uomo, strappò suo figlio Telemaco dalle braccia della madre e lo posò per terra, davanti alle zampe delle bestie aggiogate all’aratro; Odisseo subito arretrò tirando le redini per risparmiare il figlio, smascherando così la sua macchinazione, e cedette ad arruolarsi nella spedizione.

Le versioni sul cavallo di Troia

Il mito narra che è Ulisse a escogitare l’idea del cavallo di Troia per poter fare breccia nelle mura ed entrare in città, tuttavia esistono diverse versioni di tale racconto: secondo Apollodoro, Ulisse concepisce il progetto del cavallo di Troia, ma è Epeo, figlio di Panopeo e famoso artista, a costruirlo prendendo il legno dal sacro monte Ida;

secondo Igino, è lo stesso Epeo, con l’aiuto di Atena, che riuscì a realizzare l’intera opera senza l’aiuto di Ulisse;

secondo Tzetze, Prilide, guidato da Atena, propose l’idea del cavallo di legno ed Epeo fu ben lieto di costruire tale opera. Ulisse ne prese tutto il merito

secondo Pausania, il cavallo di legno era semplicemente una macchina bellica con la quale i Greci attaccarono le mura e le distrussero[8];

secondo Virgilio, i Troiani ritennero che il cavallo fosse un dono di Atena, dato che Odisseo e Diomede avevano derubato il tempio della dea, Ulisse avrebbe perciò consacrato il cavallo ad Atena per evitare la sua collera.

 

 

Lo stesso argomento in dettaglio: Odissea.

Odisseo, affezionato alla sua terra, vorrebbe ritornare agli affetti familiari e alla nativa Itaca dopo i dieci anni passati a Troia a causa della guerra, ma l’odio di un dio avverso, Poseidone, glielo impedisce. Costretto da continui incidenti e incredibili peripezie, dopo altri dieci anni, grazie anche all’aiuto della dea Atena, riesce a portare a compimento il proprio ritorno a casa.

 

Le tappe

Le tappe del ritorno (in greco νόστος nòstos) sono dodici, numero degli insiemi perfetti. Si alternano tappe in cui l’insidia è manifesta (mostruosità, aggressione, morte) a tappe in cui l’insidia è solo latente: un’ospitalità che nasconde un pericolo, un divieto da non infrangere. Ulisse continua a non riuscire a tornare a Itaca perché il dio Poseidone, adirato con lui, gli scatena contro venti furiosi, continui naufragi e pericolosi approdi in altre terre.

I Ciconi

Dopo la partenza da Troia, Ulisse fa tappa a Ismaro, nella terra dei Ciconi (in greco, Kìkones), e li attacca per fare bottino. Qui risparmia Marone, sacerdote di Apollo, che gli dona del vino forte e dolcissimo che gli tornerà utile nella grotta di Polifemo.

 

I Lotofagi

Seconda tappa nella terra dei Lotofagi, cioè mangiatori di loto. Essi sono ospitali ma insidiosi: offrono infatti ai compagni di Ulisse il loto, un frutto che fa dimenticare il ritorno, costringendo l’eroe a legarli e a trascinarli a forza sulle navi.

 

Il ciclope Polifemo

Ulisse, insieme ai suoi compagni, approda su un’isola abitata dalle ninfe. Ulisse vuole andare a chiedere ospitalità in un’isola vicina e porta con sé una nave e alcuni suoi compagni. Giungono nella grotta di Polifemo, che nel frattempo è uscito a pascolare le pecore, e la trovano con i graticci pieni di formaggi enormi e il latte appena munto. I compagni pregano Ulisse di prendere i formaggi, rimettersi in mare e scappare, ma l’eroe vuole ricevere i doni dell’ospitalità. Polifemo ritorna: è orrendo, un gigante con un solo occhio in mezzo alla fronte. Quando li vede sta preparando la sua cena, e allora prende due compagni di Odisseo e li divora. Poi si mette a dormire, così Ulisse medita come scappare da quella disavventura.

 

Inizialmente pensa di estrarre la spada e così ucciderlo, ma poi riflette che in quel modo sarebbero morti anche loro, perché nessuno poteva smuovere il grande macigno che il ciclope aveva posto davanti alla porta. Poi vede un ramo d’ulivo, gigantesco, ancora verde, che a lui pareva l’albero di una nave da venti remi, e che Polifemo aveva conservato per farne un bastone. Ordina ai compagni di tagliarne un pezzo e intanto lui lo appuntisce. La sera dopo l’eroe offre al ciclope il vino che gli aveva donato Marone. Polifemo, contento del vino offerto, chiede poi a Ulisse il suo nome. L’eroe acheo risponde che il suo nome è “Nessuno” (in greco antico “οὐδείς” – oudeís – parola assonante con il nome di Odisseo). Il ciclope si addormenta, ubriaco a causa del potente vino bevuto, e Ulisse e i compagni colgono l’occasione: prendono il ramo, fanno diventare incandescente la punta dell’ulivo e accecano l’unico occhio del ciclope. Il gigante urla di dolore e gli altri due fratelli di Polifemo accorrono, ma ritornano indietro quando il ciclope dice: “Nessuno, amici, mi uccide con l’inganno e non con la forza”. La mattina dopo Polifemo fa uscire a pascolare le sue pecore, ma per evitare che qualcuno fugga, stende le mani in modo da tastare il vello delle pecore. Allora l’eroe e i suoi compagni si legano sotto dei montoni, riuscendo così a sfuggire.

 

Eolo

Ulisse giunge quindi nell’isola di Eolo, un uomo che gode del favore degli Dei e comanda i venti, da cui viene ospitalmente accolto per un mese, ricevendo in dono l’otre dei venti, accompagnato da un divieto da non infrangere: nessuno dovrà aprire l’otre. Saranno i compagni però che, invidiosi del dono dell’ospite, ormai in prossimità di Itaca, approfittando del sonno di Ulisse, apriranno l’otre scatenando i venti che risospingeranno la nave al largo.

 

I Lestrigoni

Quinta tappa presso i Lestrigoni, giganti mostruosi quasi quanto i ciclopi. Anche qui Ulisse perde alcuni compagni e i giganti bersagliano la sua flotta abbattendo undici navi. Solo quella dell’eroe si salva.

Circe e l’Ade

Giunge poi nell’isola di Circe, una dea seducente che trasforma i compagni di Ulisse in porci. Grazie all’aiuto di Ermes, che gli dà una misteriosa erba quale antidoto alla maledizione della dea, l’eroe riesce a evitare l’insidia e costringe Circe a restituire ai compagni sembianze umane. Dopo essersi fermato un anno da Circe, Ulisse – su indicazione di lei stessa – si accinge a una nuova prova: il viaggio verso il regno dei morti. Lì riesce a entrare in contatto con le figure dei compagni perduti durante la guerra di Troia, con la madre e con l’indovino Tiresia, che gli presagirà un ritorno luttuoso e difficile. Ulisse torna dunque da Circe che lo consiglia sulla rotta da seguire, su come comportarsi con le Sirene e con Scilla e Cariddi, e lo invita a guardarsi dal toccare le vacche del Sole iperionide.

 

Le sirene

Rimessosi in rotta, Odisseo se la vede con le pericolose sirene; allora, seguendo il consiglio datogli da Circe prima della partenza, tappa le orecchie ai compagni e si fa legare all’albero maestro della nave per udire il loro canto, che trae a morte certa tutti coloro che le ascoltano. Superato lo scoglio delle sirene, Ulisse si dirige verso lo stretto di Messina.

 

Scilla, Cariddi e l’isola di Elio

Ulisse tenta di superare i mostri Scilla e Cariddi, evitando la rotta alternativa verso le Simplegadi che Circe gli ha sconsigliato. La dea lo ha anche avvertito di non armarsi in presenza di Scilla, ma Ulisse dimentica il suo monito. Inoltre, per non atterrire troppo i compagni, l’eroe parla loro della sola Cariddi. Scilla mangia sei volte sei compagni di Ulisse, mentre Cariddi risucchia le acque. Dopo aver affrontato i due mostri, Odisseo, approdato coi compagni superstiti sull’isola di Trinacria, non riesce a frenare la voglia dei compagni di banchettare con le invitanti mucche di Elio (altre versioni dicono di Era o Apollo). Per questo Odisseo racconta di essere stato per nove giorni in balia di terribili tempeste scatenate da Zeus, con la nave e i compagni uccisi da Scilla.

Calipso

Scampato alla tempesta, riuscì a salvarsi grazie all’arrivo sull’isola di Ogigia, dove incontrò Calipso, una ninfa molto bella e immortale; ella si innamorò perdutamente dell’eroe, infatti cercò in tutti i modi di trattenerlo, anche quando, dopo sette anni di “prigionia” lontano da casa, Ermes andò ad avvisare la ninfa di lasciare Ulisse, il quale, costruita una barca, partì per Itaca, ma a un passo dalla terra natia Poseidone lo fermò. Ma la dea marina Ino aiutò Odisseo ad approdare in una terra sconosciuta, quella dei Feaci.

 

I Feaci

Odisseo, naufrago, approdò presso l’isola dei Feaci, dove incontrò Nausicaa, la figlia di re Alcìnoo e le chiese dei vestiti e dove fosse la reggia del re. Andò alla reggia e dopo aver svelato il suo nome e raccontato le sue peripezie, il re gli diede una nave per ritornare a casa. Il giorno dopo si imbarcò, salutando tutti.

 

Itaca

Quando arrivò a Itaca con l’aiuto di Atena, Odisseo si travestì da mendicante e venne riconosciuto solo dal suo ormai anziano cane Argo, che morì poco dopo. In seguito si fece ospitare da Eumeo e, dopo essersi rivelato a Telemaco e a Eumeo stesso, si recò alla propria reggia spacciandosi per un mendicante. Qui, schernito dai pretendenti (i Proci), Odisseo partecipa alla gara di arco organizzata da Penelope, che aveva promesso di consegnarsi in sposa a colui che sarebbe riuscito a scoccare una freccia dall’arco del marito facendola passare per le fessure di dodici scuri allineate. Nessuno dei pretendenti riuscì anche solo a tendere l’arco, e così Odisseo chiese di poter fare un tentativo. Sotto gli occhi torvi dei Proci, Odisseo riesce perfettamente nell’impresa di tendere l’arco e scoccare. A questo punto, compie la sua vendetta che aveva preparato con Eumeo, Filezio e il figlio, togliendo tutte le armi ai Proci per poi ucciderli. Euriclea andò a chiamare Penelope per dirle che Odisseo non era morto; quando lei lo vide non disse niente, non si convinceva che fosse suo marito, perciò venne rimproverata da Telemaco e si decise a sottoporlo alla prova del talamo nuziale, chiedendogli di spostarlo. Lui, avendolo intagliato in un ulivo ancora in vita, spiegò che non poteva essere spostato dalla stanza in cui era custodito: Penelope riconobbe il marito e lo strinse forte piangendo.

Le possibili morti di Ulisse

 

Odisseo e Tiresia

Nel libro undicesimo dell’Odissea, l’indovino Tiresia predice il futuro del re itacese: infatti gli profetizza una morte “Ex halos” (l’espressione significa letteralmente fuori/dal sale, ma questo termine in poesia, se al femminile, può significare anche mare), che vuol dire “dal mare” o “lontano dal mare”. Una volta uccisi i Proci, ripartirà verso terre lontane, ai confini del regno di Poseidone, ossia oltre le Colonne d’Ercole. Giungerà a una terra dove non si conoscono il mare e le navi e dove non si condiscono i cibi con il sale. Quando un viandante scambierà il remo di Ulisse per un ventilabro (strumento agricolo consistente in una pala di legno con cui si ventilava il grano sull’aia, allo scopo di separarlo dalla pula) potrà fermarsi, piantare il remo e offrire sacrifici a Poseidone. Tornerà quindi a Itaca, offrirà sacrifici a tutti gli dei e una lieta morte verrà dal mare durante una serena vecchiaia, circondato da popoli pacificati.

 

«E il segno ti dirò, chiarissimo: non può sfuggirti.

Quando, incontrandoti, un altro viatore ti dica

che il ventilabro tu reggi sulla nobile spalla,

allora, in terra piantato il maneggevole remo,

offerti bei sacrifici a Poseidone sovrano

– ariete, toro e verro marito di scrofe –

torna a casa e celebra sacre ecatombi

ai numi immortali che il cielo vasto possiedono,

a tutti per ordine. Morte dal mare

ti verrà, molto dolce, a ucciderti vinto

da una serena vecchiezza. Intorno a te popoli

beati saranno. Questo con verità ti predico.»

(Odissea, libro XI)

 

Le ulteriori peregrinazioni di Ulisse e la sua morte sono state trattate in canti epici che non ci sono pervenuti. Per questo, diversi scrittori hanno ipotizzato la possibile morte di Ulisse. Letteratura (antica e moderna) e miti ci narrano sei diverse versioni sulla morte di Ulisse:

in una epitome lo Pseudo-Apollodoro riferisce le vicende narrate nel poema Telegonia e da Sofocle nella tragedia Odisseo trafitto, opere entrambe perdute. Tornato a Itaca da uno dei suoi viaggi successivi alla strage dei Proci, l’eroe scopre che Telemaco ha lasciato la sua casa. Infatti, dopo che un oracolo gli ha predetto che Ulisse sarebbe morto per mano del figlio, Telemaco ha scelto l’esilio volontario nella vicina Cefalonia. Ulisse, senza esserne a conoscenza, ha dato un figlio a Circe, presso la quale aveva soggiornato nel suo lungo viaggio di ritorno da Troia. Telegono, questo il suo nome, era alla ricerca del padre e, sulle sue orme, giunge a Itaca. Lo sbarco di stranieri provoca un immediato allarme, così Ulisse e le sue guardie scendono alla riva. Ne nasce una battaglia, in cui Ulisse muore proprio per mano di Telegono, colpito da una lancia forgiata da Efesto che sulla punta aveva il pungiglione velenoso di un trigone. Ulisse, ricordando la predizione di Tiresia, si fa condurre davanti lo straniero e conosce la sua identità. Atena accorre in aiuto di Ulisse, non può fare nulla se non confortarlo e convincerlo ad arrendersi al Fato.

Licofrone, nel poema Alessandra, aggiunge che Ulisse sarebbe stato resuscitato da Circe dopo la morte per mano di Telegono e poi si sarebbe stabilito a Cortona, dove incontra l’ex nemico Enea stabilendo con lui un’alleanza; in seguito gli etruschi lo venerarono sotto il nome di Nanas (“l’errante”). Telemaco avrebbe poi ucciso Circe (in un’altra versione sposa la maga), e Ulisse sarebbe morto di dolore di fronte alle sventure, venendo sepolto a Cortona.

nella Divina Commedia di Dante Alighieri, Inferno – Canto ventiseiesimo, il poeta immagina l’ultimo viaggio di Ulisse (riferendosi alla versione in latino di Ovidio), l’ultima sfida oltre le Colonne d’Ercole. L’impresa si conclude con il naufragio provocato da un enorme vortice che sorge dal mare quando la sua nave giunge in vista della montagna del Purgatorio e con la morte dell’eroe greco con tutti i suoi compagni.

 

Ulisse, come venne scritto da Plinio il Vecchio, muore di vecchiaia, in maniera serena, come profetizzato da Tiresia, “lontano dal mare” (nel senso di “sulla terraferma” e non per mare, cioè sull’isola di Itaca).

 

Tags: calipsocircenausicaaodisseopenelopesirenetelemaco
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