Susanna Basile
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Il binge-watching, l’abbuffata delle serie-tv, una nuova dipendenza o nuova terapia?

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Le serie-tv: un capitolo a parte delle nuove dipendenze da comportamento, talmente trascurato dai manuali psichiatrici di ultima generazione, che dobbiamo pensare, noi umili terapeuti “dipendenti” da storie, che vada tutto bene e che possiamo tranquillamente continuare a farci ossessionare e poi guarire da questa “nuova malattia”. Una volta c’era la televisione il primo e il secondo canale, che si doveva cambiare alzandosi dal divano perché udite, udite: non c’era nemmeno il telecomando. Stiamo parlando degli anni 60, 70 e i primi anni ’80. C’era solo la Rai e quando entrò il terzo canale, per noi “dinosauri” fu una festa in famiglia. C’erano gli sceneggiati in bianco e nero: drammi russi, i Promessi Sposi, l’Odissea e Sandokan. La televisione aveva un inizio e una fine con tanto di sigla. Poi le televisioni private, il telecomando, il colore e la pubblicità, che prima almeno aveva un senso: era Carosello. Poi iniziò la televisione via cavo, monotematica senza inizio e senza fine.

Oggi internet e le piattaforme a pagamento, dove le serie-tv, possono stratificare la nostra vita quotidiana fino a renderla inconoscibile e mischiare realtà e fantasia proponendoci un futuro di cui siamo i “visitatori” e “creatori” della nostra “felicità” immaginativa.
Quanto “cibo immaginario” possiamo “ingurgitare” prima che la nostra “mente” possa dare “forfait” e dare “i numeri” mischiando realtà e fantasia nelle nostre relazioni con la cosiddetta “realtà”? Quanto invece di questo “cibo immaginario” ci può essere “utile” per allontanare l’ansia, farci rilassare e darci addirittura delle intuizioni per risolvere problemi della nostra quotidianità funzionando egregiamente come supporto ad una “autoterapia”?
La dicitura “binge” si riferisce ai comportamenti di “abbuffata” tipici delle dipendenze patologiche e dei disturbi alimentari, indica l’assunzione di un’imponente quantità di “sostanza”, cioè l’oggetto specifico della dipendenza, film e serie-tv, in un breve periodo di tempo, con il possibile insorgere di una sintomatologia depressiva correlata da sensi di colpa, ansia, tristezza, inquietudine con un coronamento alla fine dell’assunzione, con ripercussioni sul funzionamento personale, come la vita sociale e il benessere psicologico. È la gratificazione immediata che consente al video-dipendente una sintomatica “alimentazione” del tutto e subito: come i video-giochi per gli adolescenti, senza inizio né fine, che ci trasformano in una sorta di “zombie manipolati”, che nemmeno ci rendiamo conto del messaggio subliminale, il testo, il sottotesto e il pretesto, che chi produce questo “eternal  entertainment”, intrattenimento eterno, ha programmato per intrattenerci, non si capisce bene “da cosa o da chi”. Riflettiamo sulla parola “intrattenimento”: intrattenersi forse significa che “quando io finisco il mio dovere quotidiano fatto di scuola, lavoro, e quant’altro” mi possa svagare, magari evitando di pensare alle mie preoccupazioni, affanni e dolori che mi affliggono. Ecco “evitare di pensare”, soprattutto alle responsabilità che mi attanagliano e rimembrare la condizione di quando eravamo infanti, di fatto de-responsabilizzati.  Così di “fatto virtuale”, improvvisamente “entriamo” nelle storie, negli affanni, nel terrore, nel cinismo, nell’ironia, nel tragicomico di altri esseri umani scegliendo le emozioni, i sentimenti, i pensieri dei nostri amati protagonisti, che ci tengono intra-ppolati nel loro intra-ttenimento. Veniamo quindi “trattenuti” magari diventando intra-ttabili non appena la nostra nostra preferita finisce. Spesso infatti, secondo gli studiosi, si vive una sorta di “lutto da fine serie”. Ciò ci spinge alla ricerca di una nuova gratificazione verso una nuova serie, che se non suffragata, ci porta addirittura alla revisione della stessa serie, con un consueto lasso di tempo, affinché l’appagamento possa ritornare “quasi” come se fosse “immacolato”.
Ma vediamo “psicologicamente” qual è il confine tra intrattenimento e dipendenza: il fruitore compulsivo ricercherà di produrre nuovamente la sensazione positiva sperimentata durante la visione; potrà fantasticare, in una sorta di “trance”, durante il giorno non vedendo l’ora di ritornare al suo programma, notando delle ripercussioni sulla propria vita psichica personale e interpersonale; priverà tempo ad altre attività subendo gli effetti psicofisiologici, deficit attentivi, insonnia, irrequietezza e insostenibilità nelle conversazioni che non riguardino il programma preferito.
Immaginare di essere qualcun altro, diverso da sé, genera una sorta di gratificazione simile, anche fisiologicamente, a quella ottenuta dal reale raggiungimento dell’oggetto o, in questo caso, soggetto desiderato. Quindi in qualche modo potrebbe portarci a delle soluzioni insperate magari donandoci sicurezza, appartenenza, indicazioni sulla soluzione di problemi della vita reale: quante volte identificarci in uno dei nostri protagonisti votato alla vendetta, al perdono, all’empatia, all’amore, alla perfidia, alla simpatia, potrà esserci “utile”? Un terapeuta ortodosso potrebbe gridare all’eresia, alla blasfemia, alla scorretta deontologia, ma perseguire la salute psichica e fisica fa parte ormai della sua professione diventata sanitaria, e la movie-therapy, la terapia con i film e telefilm suffragata e supportata da un reale sostegno psicologico, è di fatto diventata letteratura scientifica. In Italia, Europa e negli Stati Uniti. Per fare un esempio io stessa porto i miei lavori di movie-therapy in vari convegni e ne vengo accreditata.
Cinque sono le fasi ravvisate nella potenziale dipendenza da film o serie-tv, che da paradossalmente nocive, possono essere ri-utilizzate nel sostegno psicologico diventando un positivo supporto verso l’indipendenza, l’autonomia e la guarigione del paziente. Soprattutto se ci vengono riportate durante i colloqui.

  • La fatale curiosità quando si viene a conoscenza di un film o di una serie-tv che ci riguarda;
  • La discesa nei nostri “inferi” cioè nel nostro inconscio;
  • L’ossessione: crediamo di essere un supereroe dai magici poteri, un re della malavita, una ricca, bella, intelligente ragazza pronta per il suo principe azzurro;
  • La trasformazione completa: siamo diventati quello che avevamo desiderato almeno nel nostro immaginario;
  • L’incapacità di intendere e di volere: siamo disponibili a vedere il nostro beniamino o beniamina che si esprime nella sua lingua originale, ci muoviamo, pensiamo e agiamo come lui o come lei.

La grande opportunità che tutti noi come esseri umani abbiamo è la scelta, il libero arbitrio, la reciproca necessità di esistere e condividere quello che ci permette di evolvere e di sviluppare  le nostre personali risorse e inclinazioni: le storie degli “altri”, le dinamiche relazionali messe in atto e le soluzioni ad esse connesse, pur se in-fiction ci permettono di rispecchiarci e di produrre una solida restituzione, tecnicamente feed-back, di cui fare opportunamente il “nostro tesoro”. Come avrebbe detto Gollum la “semantica guida” degli eroi del film “Il Signore degli Anelli.

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